Modo Antiquo

Le più belle Cartolyne del mondo


da

Le più belle Cartolyne del mondo
Mario Cardinali editore, 2005, pp. 155

[...]

Ermeneutica della cartolyna
di
ZORRO MARIA SARDELLI

In principio era la lettera: pagine ingombre di descrizioni paesaggistiche, antropologiche, ambientali, per far giungere al lontano interlocutore l’emozione d’un luogo inusitato, lo stupore di un incontro singolare, la celia di un ritratto caricaturale. Poi venne la fotografia e, appena questa fu abbastanza evoluta da poter essere moltiplicata a basso costo, eccola supplire ad ogni esigenza descrittiva meglio (così si è creduto) di qualsiasi sintesi letteraria. Le prime cartoline in bianco e nero materializzavano senz’altro emozioni stupefacenti, veicolando d’un tratto il reale mai fino ad allora così distintamente disponibile a distanza: una novità emozionante come può esserlo la nostra e-mail o i telefonini con cui filmiamo momenti insulsi dell’esistenza per trasmetterli in culo al mondo con un click. L’illusione di dominare la realtà costringendola a fermarsi a nostro piacimento per poter essere ciucciata con calma in posti e tempi diversi, regala soddisfazioni effimere ma comprensibili.

Finché il veicolo fu giovane e ancora governato da un ristretto numero di addetti, gli si portò rispetto: si fotografavano solo belle vedute, dame in pose eleganti, momenti di vita reale di un certo interesse. La cartolina, ossia la fotografia da asporto, rivelava ancora la sua provenienza da studi di professionisti che s’erano formati sui modelli dell’arte figurativa pittorica e scultorea. È un po’ com’è avvenuto alla televisione: sulle prime, trasmetteva solo commedie recitate da bravissimi attori, trasmissioni culturali seriamente didattiche curate da ottimi intellettuali, poi cominciò il maicbongiornismo dei quiz ed ai citrulli fu finalmente dato il permesso di far timida comparsa nel tempio mediatico, fino ad arrivare all’era dei reality, dove durissime selezioni presiedono all’individuazione d’un florilegio di coglioni la cui provata beozia riesce a tener ritto il sacro scèar.

Così successe all’immagine viaggiante: cominciarono a infiltrarsi fidanzatini farisaicamente appassionati, e poi bambinetti allegramente baloccanti, e via via verso immagini sempre più allusive o ammiccanti, tendenzialmente spiritose e timidamente osée. Cominciarono a comparire occhieggianti donnine semisvestite che richiamavano desideri sopiti, militi giuocosi che volgevano in celia gli squallori della vita marziale, bambocci sempre più grassi e tronfi che spengevano candeline piantate su torte di laterizio: l’abisso era ormai spalancato. Ogni decoro era ormai perduto, più nessuna deontologia presiedeva alla scelta dei soggetti né alle scelte estetiche e scenografiche: qualunque sciatto fotografo di provincia poteva strappare dall’inoperosa stasi del bar del paese un lui ed una lei agghindati con zoccolame e scampanato globale per immortalarli abbracciati lungo la statale per Terni e sovrimprimerci in orone «Batte da mane a sera il cuor a primavera», oppure costringere a calcagnate il nipotino Girmo a fingere allegria davanti ad una torta di cartone e ricotta con su scritto «Buon onomastico».

Essendo la piramide dei mondi possibili di Leibnitz finita al vertice ma infinita alla base, era chiaro che l’abisso estetico-morale ormai aperto non potesse più trovare un limite. Cominciarono a comparire ragazzotte strappate dalla cassa del lunapark per esser ritratte seminude sul greto del torrente Merdo, bambini costretti ad indossare minidivise da militi per mimare atroci episodi di nonnismo, vecchiette sdentate che ridevano, e giù giù verso l’Averno. Il punto più basso fu raggiunto quando gli autori degli scatti iniziarono a voler fare gli ironici e gli spiritosi: di questa tetra stagione, paragonabile a quelli che furono gli anni ’37-’39 nella storia del regime staliniano, non si troverà volutamente in questo volume nessuna testimonianza. Immagini di neonati vestiti da divi rock, finte suore che bevono il wisky, cartoline nere con su scritto «Barcellona di notte» soverchiano qualsiasi umana tolleranza e sono sanzionate dalla convenzione di Ginevra.

Mentre da qualsiasi pubblicazione a stampa che venga posta in circolo – sia essa un’enciclopedia o un biglietto dell’autobus – è possibile risalire all’editore ed all’autore, dalle cartoline non è mai possibile sapere nulla: invano si cercherà di capire chi possa essere il fotografo colpevole dello scatto, né tampoco l’occulto editore che l’ha veicolato. Qualsiasi indagine, la più accurata, non approderà che all’individuazione d’un laconico e reticente «Made in Italy» o un supponente «Riproduzione vietata». Il perché di tanta omertà risiede ovviamente nell’adamitico senso di colpa che pervade la coscienza dei colpevoli di certi scatti; per quanto spregiudicati e privi d’ogni senso morale ed estetico, tutti coloro che cooperano segretamente alla produzione delle cartoline (fotografo, modelli, tipografia, produttore, distributore) non riescono a vivere serenamente le responsabilità del loro operato e tendono così a celarsi dietro al completo anonimato. È un atteggiamento comprensibile che ha sempre accomunato coloro che si dedicano a lavori da essi stessi percepiti come poco edificanti (addetti ai Gulag, stasatori di pozzi neri, etc).

Dopo il boom cartolinistico degli anni ’70-‘80, coincidente col punto più basso dell’imbarbarimento dei modelli di riferimento estetico, la cartolina ha cominciato a soffrire una crisi da cui non s’è più ripresa, declinando vertiginosamente fino alla quasi estinzione dei giorni nostri. Completamente sorpassata dai millanta sistemi elettronici di fotografia, scansione, stampa digitale, trasmissione via web e telefonica, l’immagine stampata su cartoncino plastificato ha perso ogni capacità di richiamo ed è stata quasi completamente sopraffatta. Paradossalmente – ma non tanto – proprio l’esser sul ciglio dell’estinzione l’ha portata a ritrovare un po’ di quella dignità perduta: rifugiatasi nelle oasi protette dei bookshop museali, è riuscita a mantenersi ancora in vita rendendosi utile a trasmettere la nobile impressione di un quadro antico. Di tutti gli altri sguaiati scatti versicolori con troterelle balneari, nani impalati davanti a torte radioattive, botoli ringhiosi pettinati e infiocchettati, turpi pleiboi basettati che montano fiammanti motociclette inchiodate alla giostra, altro non resta che la riprovazione della memoria collettiva ed i rari reperti affioranti da romite cartolerie montane, da retrobottega d’alimentari di paese o da stazioni ferroviarie laterali, ricercati con zelo missionario da tutti coloro che ancora non riescono a capacitarsi di come sia potuto accadere qualcosa di simile e che, con lo sguardo benigno dello storico, collazionano questi frammenti d’orrore allo scopo di comprenderne il perché.

È allora chiaro che il periodo aureo della cartolina, quello cioè di maggior interesse per lo storico che intenda indagare i grandi orrori del Novecento, resta quello compreso fra gli anno ’60 e ’80; il precedente, ancora temperato da un certo buon gusto, castigatezza e bigotteria, riesce ancora comprensibile e chiaro; quello successivo, agitato dalla coscienza dell’imminente declino e dagli eccessi abominevoli delle immagini «spiritose», è ancora troppo vicino a noi per poter essere indagato con sguardo obiettivo.

Questo volume prende perciò in esame soltanto il periodo aureo, che poi è quello nel quale si sono progressivamente andati definendo alcuni filoni tematici destinati a diventare generi paradigmatici. Tra questi si evidenziano in particolare:

1. Compleanni e onomastici di nani paffuti fronteggianti torte radioattive
2. Amanti malandrini
3. Minimiliti (che include anche la sconfinata serie del giovane alpino)
4. Luoghi inospitali (steppe riarse, forre motose, selve di cactus, benzinai, etc)
5. Animali del cazzo (cani bavosi, cammelli, pellicani, criceti e altre bestie con elevate capacità infettive, spesso fotografate assieme ai bambini)
6. Caserme e periferie urbane degradate
7. Ballerini di flamenco & tàngheri in pose artificiose
8. Mezzi meccanici moderni (nani che guidano go-kart, baldi motociclisti, carretti trainati da ciuchi, cani, etc)
9. Trote seminude o allusivamente atteggiate
10. Costumi tradizionali
11. Vedute mosaicate di paesi o città (dai 9 ai 23 minifotogrammi invisibili a occhio nudo)
12. Cartoline incomprensibili (strada sterrata con macchina parcheggiata in lontananza, bambolotto in mezzo al prato, villetta di cemento, etc)

È chiaro che, davanti ad una produzione così sconfinata e proliferante, molti altri sottogeneri e filoni laterali potrebbero essere richiamati alla mente (pupazzi di pelouche soli o turpemente accoppiati con animali vivi; allegre famigliole in gita a bordo di trappole di lamiera; vecchietti cirrotici in posa davanti al fiasco di metanolo; spensierate vedute rivierasche con bagnanti appena liberati dal lager; etc), per giungere a definire quel complesso universo estetico-narrativo il cui disegno finale può esser stato delineato soltanto da un occulto genio maligno. Sfrutteremo allora queste poche righe per cercare di circostanziare meglio alcuni di questi generi, nel tentativo d’offrire qualche ausilio ermeneutico a coloro che, subito appresso, si troveranno catapultati nella galleria degli orrori illustrati.

[...]

Il celeberrimo nano Garfilli Gargiulo

Il celeberrimo nano Garfilli Gargiulo

Nonna Gino, la venerabile consanguinea dell'atroce nano Gargilli, mentre tesse un delizioso merletto ajutandosi col suo favoloso pingone.

Nonna Gino, la venerabile consanguinea dell'atroce nano Gargilli, mentre tesse un delizioso merletto ajutandosi col suo favoloso pingone.

Tytolo: questa era davvero fetente, amore.

Tytolo: questa era davvero fetente, amore.

Tytolo: O provare cor una forchettina?

Tytolo: O provare cor una forchettina?

Tytolo: Ti sparo una se... ti sparo una se... ti sparo una seeerenata d'amor.

Tytolo: Ti sparo una se... ti sparo una se... ti sparo una seeerenata d'amor.

Tytolo: Lupone assassino.

Tytolo: Lupone assassino.

Percorso: home page > Federico Maria Sardelli > Pubblicazioni satiriche > Le più belle Cartolyne del mondo