Modo Antiquo

Antonio Vivaldi, Invicti bellate, RV 628


Mottetto Invicti bellate RV 628, edizione critica a cura di Federico Maria Sardelli, collana «Antonio Vivaldi. Opere incomplete», 3, Firenze, S.P.E.S., 2007


[estratto dall'introduzione critica]

MOTTETTI RIMASTI, MOTTETTI PERDUTI

Il mottetto a voce sola costituiva, al tempo di Vivaldi, la declinazione sacra del genere della cantata «con Stromenti»: una voce solista – sempre soprano o contralto in Vivaldi – che, sostenuta dall’insieme degli archi, si alternava in arie e recitativi composti sopra ad testo poetico devozionale scritto in latino con opzionali riferimenti o parafrasi bibliche. Queste composizioni agili e per così dire leggere, costituivano un ornamento para-liturgico assai flessibile, utile ad inserirsi nelle più diverse occasioni dell’ordinarium, tanto più quanto il loro testo s’improntava ad una neutra riflessione poetico-religiosa: si chiamava allora «mottetto per ogni tempo» e poteva essere impiegato nelle più diverse settimane del calendario liturgico; più raramente il mottetto nasceva come espressa pendice di un’occasione celebrativa particolare, ed allora prendeva intitolazione dal santo o dalla festa per cui era stato composto («per la Solennità di S. Antonio», etc). Uguale in tutto agli altri mottetti per struttura ed organico, tranne che per l’assenza dell’Alleluia finale, era poi l’«introduzione», ossia un mottetto che serviva da preludio a determinate parti di messa o salmi («introduzione al Miserere», «introduzione al Gloria», etc). Sebbene la sua struttura monca in coda, adatta cioè ad agganciarsi in continuità esecutiva con il brano che doveva seguire, ci faccia oggi catalogare le «introduzioni» come un genere a sé stante, probabilmente al tempo di Vivaldi questa divisione di genere non era così netta e le «introduzioni» venivano considerate e pagate come normali mottetti.

L’Ospedale della Pietà di Venezia stabiliva, con un regolamento del 1710, che il suo Maestro di coro fosse obbligato a fornire, fra le altre composizioni liturgiche, due nuovi mottetti al mese: vi era dunque un gran consumo di questi brani e Vivaldi dovette comporne numerosi durante quei pur brevi periodi in cui venne chiamato a far le veci del Maestro di coro. Durante il suo primo periodo di supplenza, a circa due anni dalla vacanza di Gasparini, i Governatori corrisposero a Vivaldi l’onorario relativo a «una Messa intiera, un Vespero, un Oratorio, più di trenta mottetti, et altre fatiche»; risulta chiaro dalla cadenza bisettimanale stabilita dal regolamento, che questi «più di trenta mottetti» fossero il risultato di circa un anno e mezzo di lavoro. Se egli restò ancora a supplire il Maestro di coro fino al 1716, si può ben supporre che ne abbia forniti circa altri ventiquattro; a questi vanno aggiunti quegli undici mottetti certificati nelle quietanze del 1739 (fra le ultime testimonianze del pluritrentennale rapporto con la Pietà). Da queste rade e certamente lacunose testimonianze possiamo trarre una grossolana stima al ribasso di circa 65-70 mottetti composti sicuramente per la Pietà. A questi si deve aggiungere un numero imprecisato di mottetti scritti per altre istituzioni ed occasioni: sappiamo ad esempio che Vivaldi ne compose durante il suo soggiorno romano del 1723-’24 (oggi ci rimangono tre mottetti di quel periodo, RV 623, RV 626 e RV 631), che ebbe relazioni con la basilica del Santo di Padova (a cui si deve probabilmente ricondurre la composizione di RV 634) e che ne inviò altri alla corte elettorale di Sassonia, se due mottetti, RV 627 e RV 632, finirono nella collezione di Zelenka; non è chiaro poi se i «Mottetti alla sera» di cui parla una ricevuta di pagamento per i servizî svolti da Vivaldi durante il trionfale soggiorno vicentino del 1713, fossero di sua composizione.

Da questa ricognizione sommaria sulla produzione e committenza dei mottetti vivaldiani ricaviamo i contorni, se pur indefiniti, di un repertorio assai vasto, formato da molte decine di lavori; quel che oggi ne resta, è invece un esiguo nucleo di 12 mottetti, più 8 «introduzioni», se vogliamo accorparne i generi. Sorte avara e distruttiva questa, condivisa da molti altri generi musicali del repertorio vivaldiano: i drammi per musica, ad esempio, decimati in ragione di circa il 75%, o i grandi oratorî, di cui ne resta uno su quattro. Ma se la deperibilità dei lavori teatrali è in qualche modo intrinsecamente connaturata ad un genere votato alla moda ed al consumo, la distruzione o dispersione delle opere sacre vivaldiane ha certamente una causa più diretta: l’incuria, l’incapacità o il disinteresse conservativo della Pietà. Delle centinaia e centinaia di concerti, sonate, opere sacre d’ogni genere fornite da Vivaldi nel pur intermittente corso di 37 anni, non restano, conservate dalla Pietà, che poche e disordinate parti staccate relative ad alcune opere della tarda maturità. Questa sorte non riguarda solo Vivaldi, ma anche Gasparini, Scarpari, Porta, e gli altri maestri che fornirono le loro composizioni fino all’incirca i primi tre decenni del Settecento; le musiche superstiti risalgono infatti al periodo successivo e si ha l’impressione che l’impulso alla redazione e conservazione delle copie manoscritte dei lavori forniti all’Ospedale nasca proprio con la delibera del 16 marzo 1736, che incoraggiava con premi straordinarî il lavoro delle figlie occupate nelle mansioni di copisteria.

Dobbiamo dunque a Vivaldi ed alla sua cura, senz’altro unica fra i compositori del suo tempo, di coscienzioso conservatore delle sue composizioni, il merito di averci tramandato gran parte delle composizioni sacre e profane destinate alla Pietà. Ma tenere in ordine un archivio così grande, quando si è assillati da una frenetica attività di compositore, concertista, didatta ed impresario, è senz’altro un’impresa difficile; può avvenire allora che già al tempo del compositore una carta o un fascicolo di una partitura possano essere andati smarriti e che, in questa forma, una certa composizione sia giunta fino a noi: è il caso di due fra i dodici mottetti superstiti: Caræ rosæ respirate, RV 624 e Invicti bellate, RV 628.

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