Modo Antiquo

Nicolas Chédeville, Il Pastor Fido


[estratto dall'introduzione critica di Federico Maria Sardelli]

CRONACA D’UN FALSO ILLUSTRE

Fu nel 1990 che, grazie al ritrovamento d’una illuminante Déclaration datata 1749, Philippe Lescat pose finalmente termine alla catena di dubbî che aveva funestato l’attribuzione della controversa Opera XIII, quel famoso Pastor Fido che costituiva fino ad allora una delle più eseguite e favorite raccolte di Vivaldi. Era definitivamente dimostrato che il prete veneziano non aveva composto nessuna Opera XIII e che il vero autore della raccolta era da rintracciare in Nicolas Chédeville le cadet, un oboista e suonatore di musette imparentato con la dinastia degli Hotteterre, compositore di numerose raccolte cameristiche, insegnante e costruttore di strumenti. Come poteva esser durata sì a lungo la frode? Erano trascorsi circa 250 anni da quando a Parigi appariva, presso la bottega di M.me Boivin, una raccolta di sonate il cui frontespizio recitava:

IL PASTOR FIDO, | Sonates, | POUR | La Musette, Viele, Flûte, Hautbois, Violon, | Avec la Basse Continüe. | DEL SIG.R | ANTONIO VIVALDI. | Opera XIII.a | prix en blanc 6.tt | [fregio] | A PARIS | Chez M.e Boivin M.de rue S.t Honoré à la Règle d’Or. | Avec Privilege du Roy.

L’ignaro pubblico parigino non dovette sospettare certo alcunché di fraudolento: erano anni quelli, sul finire del terzo decennio del Settecento, in cui il gradimento per la musica di Vivaldi aveva conosciuto in Francia una forte impennata. Dal 1737 al 1751 apparvero presso M.me Boivin ed i fratelli Le Clerc ben 13 edizioni di musica vivaldiana, autentica o variamente manipolata. Proprio quando in Italia il precipizio della fama amareggiava gli ultimi anni della vita di Vivaldi, in Francia l’affermazione del suo gusto musicale contagiava il pubblico ed i compositori: Joseph Bodin de Boismortier, Michel Blavet, Michel Corrette, Nicolas Chédeville, per rammentare i più noti, si davano a comporre lavori in stile vivaldiano, oppure a divulgare con trascrizioni e riduzioni le più celebri composizioni del prete veneziano. Erano senz’altro le Stagioni i lavori più amati e conosciuti dal pubblico francese, più volte eseguite da Jean-Pierre Guignon al Concert Spirituel a partire dal 1728; il 25 novembre 1730 lo stesso re Luigi XV comandò che gli si eseguisse all’improvviso La Primavera, e l’immancabile Guignon fu accompagnato da un’orchestra raccogliticcia formata da nobili. L’apparire di pubblicazioni come Le Pritems ou les Saisons amusantes di Chedeville, oppure il Laudate dominum de coelis, Motet à grand choeur dans le concerto du Printems de Vivaldi di Corrette, la dicevano lunga sulla moda di quegli anni.

Erano gli italiani in genere – con Vivaldi in testa – ad aver fatto breccia nel gusto dei francesi e si era dunque aperta la corsa ad accaparrarsi i diritti per pubblicarne le musiche. I due fratelli Le Clerc, Jean-Pantaléon e Charles-Nicolas, erano riusciti ad ottenere una sorta di monopolio sulla pubblicazione e lo smercio, in terra di Francia, delle musiche italiane: Jean-Pantaléon era diventato, dal 1733, l’agente di Le Cène, il principale editore musicale olandese e lo stampatore autorizzato di tutte le opere vivaldiane, oltreché dei principali compositori italiani; Charles-Nicolas si era aggiudicato, il 9 marzo 1736, il diritto di «faire imprimer, graver et donner au public plusieurs ouvrages de musiques de différens auteurs qui ont pour titre: tout Corelli, douze oeuvres de Vivaldi, neuf oeuvres d’Albinoni, neuf oeuvres de Valentini». Se Le Clerc ignorava che l’Opera X di Albinoni era già stata impressa da Le Cène, il conto delle opere di Vivaldi fino ad allora uscite era esatto. Dopo la deludente esperienza giovanile fatta coi due editori veneziani Sala e Bortoli, Vivaldi si era rivolto ad Amsterdam al celebre Etienne Roger: dall’Estro Armonico fino all’Opera XII fu questi ¬– e dopo la sua morte il genero Michel-Charles Le Cène – il suo unico editore autorizzato. Tuttavia, verso l’inizio degli anni Trenta, vare traversìe umane e commerciali fecero maturare a Vivaldi il proposito di non pubblicare più nulla, perché aveva realizzato che guadagnava di più vendendo i suoi concerti come manoscritti sciolti. Dopo il 1729, anno in cui comparve presso Le Cène l’Opera XII, l’Europa non vide più nuove opere a stampa di Vivaldi.

Improvvisamente, dopo quasi dieci anni di silenzio, ecco un’Opera XIII di Vivaldi apparire a Parigi, dov’egli non aveva mai avuto contatti diretti né editori. A richiederne il privilegio per la stampa non era, come si sarebbe potuto supporre, la ditta Le Clerc, che già possedeva i diritti sopra tutte le altre opere, bensì Jean-Noël Marchand, un musicista imparentato con le famiglie Hotteterre e Chédeville, nato nel 1700 e nel 1725 assunto presso l’Ecurie come «tambour et fifre du roi». Il 21 marzo 1737 Marchand otteneva il permesso per

fair jmp[rim]er. et graver et donner au public les treize et quatorzieme oeuvre de Vivaldy, la dixieme oeuvre d’Albinony, la dixieme oeuvre de Valentiny sans paroles pour la musette et vielles

Era chiaro che questo Marchand, fino ad allora fuori dal giro dell’editoria, si agganciava là dove terminavano i diritti dei Le Clerc; anch’egli credeva erroneamente che Albinoni si fosse fermato all’Opera IX, però aveva ben chiaro che per far quattrini sfruttando la gran voga della musica italiana vi era una sola strada: aggirare il monopolio dei Le Clerc proponendo manoscritti ancora non pubblicati, opere nuove successive a quelle già prodotte dagli olandesi. Marchand, chiedendo ed ottenendo il privilegio di stampa, si dichiarava implicitamente in possesso delle opere XIII e XIV di Vivaldi, opere che il mondo non aveva ancora conosciuto. In quel tempo, a Parigi, nessuno poteva sapere che Vivaldi non nutriva più nessun interesse a divulgare la sua musica per mezzo della stampa e che, oltretutto, non aveva mai considerato l’ipotesi di rivolgersi ad altri stampatori al di fuori dei suoi fidati olandesi. La falsa Opera XIII poteva uscire senza problemi.

Fu dunque Marchand, come si è ipotizzato per un certo tempo, l’autore de Il Pastor Fido? Il suo curriculum musicale e la sua produzione – una sola raccolta di elementari Airs pour deux tambourins, musettes et vielles, pubblicata ante 1737 – fanno capire subito di no. In effetti l’Opera XIII, che appariva sotto il nome del celebre Vivaldi, era sì costellata di brani sempliciotti e galanterie di gusto francese, ma conteneva altresì momenti di buona musica e idee vigorose condotte con una maestria che non poteva certo appartenere ad un semplice suonatore come Marchand. Si dovette attendere il 1990 per dare un volto a questo ignoto ed abile contraffattore: con la scoperta della Déclaration firmata di pugno da Marchand, il profilo di Nicolas Chédeville emerse in modo inequivocabile. Era Marchand stesso, suo cugino di sesto grado, a farne il nome dopo 12 anni di silenzio, sospinto – diceva lui – dal desiderio di «rendre hommage a la verité»; egli gettò dunque la maschera sottoscrivendo un lungo atto notarile, in data 17 settembre 1749, dove finalmente si chiarificava che

En mil sept cent trente six Et mil sept cent trente sept, S[ieu]r. nicolas Chedeville, hautbois de la chambre du Roy, auroit composé Entr’autres choses le Treizieme oeuvre de vivaldy […].

Ma perché allora non fu Chédeville a domandare il privilegio per il suo falso vivaldiano? Marchand non ci dà grandi chiarimenti, ma si limita a dirci che

Sr. Chedeville voulant mettre cet ouvrage au jour, et ayant des Raisons Particulieres pour qu’il ne parut par son nom, auroit prié Led.[it] S[ieu]r. Marchand d’agréer quil obtint sous le sien Privilege de sa majesté […].

Dunque il cugino Marchand fu mandato avanti perché non comparisse il nome del vero autore. Quali potevano essere quelle «Raisons Particulieres» a cui Marchand allude? La fine degli anni Trenta coincide col fiorire della moda della musette, il raffinato strumento pseudo-pastorale che si rendeva efficace interprete del gusto arcadico dilagante nelle arti e nelle lettere. Nel 1737 – stesso anno de Il Pastor Fido – usciva la Méthode de musette del celebre Hotteterre-Le romain, subito ristampato l’anno successivo; sempre nel 1737 il nobile Gaspard de Gueidan si fece immortalare da Hyacinthe Rigaud in un magnifico dipinto mentre ostenta la sua preziosa musette tempestata di avorî e broccati.

La moda delle pastourellerie, terreno fertile per l’affermarsi della musette e dalla vièle, non bastava ancora a smorzare l’ostracismo di alcuni critici tenacemente inclini a considerare la piccola cornamusa come uno strumento «grossier, maladroit». Far comparire che anche un grande compositore, il celebrato Vivaldi, consacrava un’intera sua nuova opera alla galante musette, poteva significare mettere a tacere gli ultimi critici e guadagnare nuovi spazî artistici ed economici per i virtuosi dello strumento.

Chédeville si era distinto fino ad allora proprio come virtuoso, didatta e costruttore di musettes; pressoché tutte le sue numerose sonate e suites – perennemente definite «amusantes» – erano destinate alla musette e, nonostante vi figurasse sempre un’alternativa strumentale per il flauto, l’oboe o il violino, la loro scrittura musicale restava sempre piegata alle esigenze di semplicità tonale e limitata tessitura imposte dalla piccola zampogna. Dopo aver dato alle stampe le sue prime sei opere, Chédeville decise che era giunto il momento di metter fuori il suo pseudo-Vivaldi, con cui sperava di dar definitiva consacrazione al suo strumento favorito e sfruttare i vantaggi economici che l’attrattiva commerciale di quel nome illustre sembravano promettere. Non potendosi esporre in prima persona in un’operazione così delicata e rischiosa, convinse il suo meno noto cugino – certamente allettato dalla prospettiva di partecipare alla spartizione dei proventi – a richiedere per lui il privilegio per la stampa.

Il Pastor Fido tuttavia non incontrò quel successo in cui i suoi artefici confidavano: l’opera non venne annunciata dalle gazzette e non conobbe ristampe, a differenza delle altre opere di Chédeville. Fu probabilmente questo il motivo che spinse i due cugini a rinunciare al progetto di continuare con la falsa Opera XIV, mentre Chédeville, forse scottato dall’esperienza, avrebbe da quel momento in poi pubblicato solo sotto il suo nome, compresa quella trascrizione-adattamento delle Stagioni e di altri concerti dell’Opera VIII di Vivaldi apparsa nel 1739 sotto il titolo di Le Printems ou les Saisons amusantes. Altre trascrizioni, sempre adattate all’immancabile musette, seguirono con l’Opera IV di Dall’Abaco (1739) e con le arie tratte dall’opera Jephté di Montéclair (1742).

Ma perché il veritiero Marchand decise di parlare proprio nel 1749? Il privilegio ch’egli aveva ottenuto su Il Pastor Fido e sulla fantomatica Opera XIV era durato 9 anni; nel 1746, alla sua scadenza, i due cugini non fecero nulla per rinnovarlo, forse delusi per gli scarsi proventi e per i numerosi rischi che l’operazione gli aveva procurato. Ma ecco che, a sorpresa, il 20 maggio 1748, Michel Corrette chiedeva ed ottenneva il privilegio per ristampare «les oeuvres de vivaldy, ayant pour titre Le Pastor Fido»; questa mossa, che toglieva definitivamente ai due cugini ogni diritto sulla loro creatura, accese probabilmente in loro un tardivo desiderio di rivalsa. Marchand attese un anno, durante il quale Corrette non si era mosso, dopodiché si risolse a recarsi dal notaio e, col nobile scopo di «rendre hommage a la verité», mise i bastoni fra le ruote al più celebre collega, dichiarando che

led. Sieur Corrette n’etant pas autheur de cet ouvrage, et que c’est au contraire led.[it] S[ieu]r. chedeville, qui est Rellement et veritablement l’autheur auquel led.[it] S[ieu]r. Marchand n’a fait que preter son nom […].

Questo implicava che i diritti acquistati da Corrette su un’opera di un autore straniero ormai defunto, non potevano valere per l’opera di autore francese vivente, né Corrette avrebbe potuto spacciare l’opera per sua, come la precisazione di Marchand farebbe supporre. Questa rivelazione, emersa a colpi di carta da bollo dall’àmbito di un contenzioso di cui oggi ci sfuggono i particolari, fu probabilmente la causa dell’arresto d’ogni iniziativa editoriale sopra a Il Pastor Fido: Corrette dovette arrendersi e la ristampa dell’opera non vide mai la luce.

La questione era finalmente chiusa: ciascuno a suo modo, Chédeville, Marchand, Corrette, tutti avevano lucrato o tentato di farlo con la falsa Opera XIII di Vivaldi; tutti tranne Vivaldi, ignaro affatto dell’abuso che veniva fatto del suo nome e delle sue idee musicali.

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